Anno 1587

I nuovi Capitoli, approvati dal duca di Urbino in data 19 ottobre 1587, fissarono in otto il numero dei rettori; essi restano in carica quattro anni e se ne rinnovano due ogni anno sulla base di un elenco stabilito dal Consiglio della comunità. Fra i rettori si scelgono due priori (per altro già previsti nelle modifiche del 1534) che restano in carica un anno con il compito di convocare le assemblee, di firmare i provvedimenti di volta in volta assunti, di far eseguire le decisioni prese, di controllare l'operato dei funzionari del Monte. Alle tradizionali figure del conservatore dei pegni e del tesoriere vengono ora aggiunte quelle del fattore preposto alla gestione dei possedimenti agricoli e del cancelliere, un notaio incaricato della verbalizzazione delle adunanze degli amministratori e del controllo bimestrale, a lato di uno dei rettori, dello stato di cassa. Vengono inoltre fissate le modalità di elezione ed i compiti di due revisori dei conti, con carica triennale ed irrinunciabile, salvo legittimo impedimento. Ad essi è demandato il compito di relazionare al duca di Urbino sull'attività degli amministratori usciti di carica, di registrare i nomi di quelli che avessero commesso frodi o malversazioni "onde ne rimanga perpetua memoria, non potendo mai più essere eletti a nessun ufficio". Vengono poi descritti con estrema accuratezza i ruoli dei singoli funzionari, le procedure da seguire nel prestito su pegno, le registrazione da effettuare, le modalità per la restituzione del prestito e la riconsegna del pegno. In questo capitolo non si fa cenno all'eventuale interesse sul prestito; si porta invece a dodici fiorini il massimo di prestito consentito e si stabilisce in tre anni il termine per il riscatto del pegno. Queste ultime modifiche lasciano intendere con la capacità economica del Monte forsempronese, nel giro di pochi decenni, si sia notevolmente consolidata; ciò fu certamente il risultato di un'accurata amministrazione unita al confluire nelle casse dell'istituzione di donazioni patrimoniali, lasciti testamentari, sovvenzioni da parte di enti pubblici e di privati. Di ciò dette il primo esempio la stessa duchessa Elisabetta Gonzaga che al Monte forsempronese donò la metà di un suo vasto possedimento nel territorio di Casteldurante (l'attuale Urbania). Sfogliando i registri ancora conservati nell'archivio dell'Ente è possibile rintracciare i nomi di quanti, per almeno tre secoli, contribuirono in vario modo ad arricchirne e consolidarne il patrimonio, fino a farne uno degli istituti più prosperi del territorio. A testimonianza di tale solidarietà e sicurezza sta il fatto che ben presto molti cittadini iniziarono a depositare nel Monte di Pietà i loro denari, come presso una banca, tanto che il duca di Urbino, nel 1618, fu costretto a decretare che tali somme venissero tenute in una cassa separata, detta dei depositi, le cui tre chiavi erano custodite rispettivamente dal Gonfaloniere della città e dai due priori del Monte medesimo. In questo contesto di prosperità dell'istituzione si colloca anche l'acquisto di una sede prestigiosa quale il palazzo nobiliare costruito attorno alla metà del cinquecento da Francesco Seta, passata per via ereditaria ai Rufo e ai Cattabeni, quindi al patrimonio del duca di Urbino che lo donò alla comunità forsempronese. L'edificio collocato a lato della piazza principale della città, fu acquistato dal Monte di Pietà nel 1612 per somma di 5400 scudi versati al Comune in più rate e da questo utilizzati per il restauro delle mura cittadine. Gli statuti del 1587 continuarono a reggere la vita della benefica istituzione a lungo, pur con le aggiunte e le precisazione rese via via necessarie dal mutare dei tempi e delle condizioni sociali, nè subirono modifiche anche quando, nel 1631, con la devoluzione del ducato di Urbino alla Santa Sede, l'autorità di riferimento non fu più quella ducale, ma quella del cardinale Legato.